Prefazione inedita

Mons. Carlo Maria Viganò

Prefazione inedita

ad un saggio a cura di Maike Hickson
contenente i miei interventi sul Concilio Vaticano II

Sit autem sermo vester: Est, est; non, non ;
Quod autem his abundantius est, a malo est.

Mt 5, 37

 

Ogni società si dota di un linguaggio comune, così come ogni disciplina adotta un lessico specifico, per poter comunicare chiaramente e inequivocabilmente. Il linguaggio, infatti, è uno strumento essenziale, perché permette la trasmissione di concetti, di pensieri, di passioni. Questo avviene anche nella famiglia, nella quale si creano e si tramandano modi di dire, espressioni ed esperienze che accomunano e legano i suoi componenti. Non è quindi un caso se, nel corso della Storia, anche la Chiesa si sia data una lingua e un linguaggio a lei propri, tramite i quali trasmettere in modo completo e chiaro la dottrina di cui essa è depositaria, la liturgia che il Signore le ha insegnato, la spiritualità che unisce le anime dei battezzati di tutte le epoche e di tutti i luoghi. D’altra parte, i cittadini di una nazione si sentono accomunati non solo dalla condivisione della Fede, delle tradizioni e delle leggi, ma anche dalla lingua che le esprime.

Il mondo profano e scristianizzato, consapevole del ruolo importantissimo che ricopre la lingua nella costituzione del tessuto sociale, ha adottato un proprio lessico, spesso utilizzando un termine antico con un nuovo significato, sostituendo un termine considerato estraneo alla propria forma mentis o giungendo a cancellarlo dal parlare comune. Molte espressioni nate in ambito prettamente cattolico – penso ad esempio all’uso del termine «cristiano» come sinonimo di «persona» tipico dei dialetti regionali italiani – sono state bandite dal linguaggio, perché in esse si esprimeva un modo di essere, di pensare, di credere che oggi è considerato divisivo o non compatibile con l’ideologia imperante. La «neolingua» orwelliana ha bandito ogni traccia di cattolicità dalla lingua parlata e scritta, consapevole che nella cancellazione della lingua si completa la cancellazione di una cultura. Devono scomparire anche le parole «padre» e «madre», perché la loro sola esistenza rappresenta una minaccia per chi vuole distruggere la famiglia, la figura paterna e quella materna, l’autorità del «buon padre di famiglia» e del saggio governante, la divina paternità di Dio e la maternità della Chiesa.

E come una madre amorevole comprende il balbettare del piccolo che stringe in grembo, ma sa insegnargli come prima maestra la lingua con la quale egli dovrà comunicare con i propri simili, così la Santa Chiesa non respinge la povertà dell’espressione del semplice, ma lo educa alla Fede nella condivisione del linguaggio teologico e gli insegna a rivolgersi alla Maestà divina, nell’atto solenne del culto pubblico, nella lingua sacra. Il teologo e la “vecchierella”, ciascuno con il proprio bagaglio culturale, possono comprendersi proprio perché «parlano la stessa lingua» e perché questa lingua non deve servire ad allontanare, ma ad avvicinare. Avvicinare il sapiente e l’ignorante, il ricco e il povero, il Dio perfettissimo e l’uomo peccatore.

Se un maestro non potesse comunicare con i propri scolari usando termini che essi possono comprendere, il sapere non potrebbe essere trasmesso, né il pensiero potrebbe esprimersi compiutamente. Per questo la Chiesa, che è Maestra come Maestro è il suo Capo, ha sempre adottato un linguaggio chiaro e specifico con il quale insegnare la Verità cattolica e condannare gli errori degli eretici. Eretici, giova ricordarlo, che proprio tramite l’uso fraudolento del lessico teologico hanno potuto diffondere i propri errori. E siccome la Scolastica non consente quell’imprecisione nella quale i Modernisti possono insinuare le loro dottrine, proprio contro di essa e contro la sua terminologia hanno concentrato i loro sforzi: «Deridono perciò continuamente e disprezzano la filosofia e la teologia scolastica. Sia che ciò facciano per ignoranza, sia che il facciano per timore o meglio per l’una cosa insieme e per l’altra; certo si è che la smania di novità va sempre in essi congiunta coll’odio della Scolastica; né vi ha indizio più manifesto che taluno cominci a volgere al modernismo, che quando incominci ad aborrire la Scolastica» (San Pio X, Enciclica Pascendi, parte II).

Se prendiamo un qualsiasi documento magisteriale promulgato fino al Pontificato di Giovanni XXIII, possiamo riconoscere in esso una medesima dottrina espressa nel medesimo linguaggio; un linguaggio che trova perfetta corrispondenza anche nella molteplicità delle lingue, ad esempio designando lo stesso concetto con i termini essenza, sostanza, natura, persona in greco, in latino, in italiano, ecc. E quel linguaggio lo ritroviamo identico nella liturgia, dove la lex credendi diventa preghiera senza perdere vigore, anzi acquisendone proprio nella ritualità dell’azione sacra e nella musicalità del canto gregoriano. Non vi è componimento liturgico, sequenza, inno, antifona, prefazio, colletta che non sia perfettamente coerente con la regula fidei che esprime: «ut in confessione veræ sempiternæque deitatis; et in personis proprietas, et in essentia unitas, et in majestate adoretur æqualitas» (Prefazio della Santissima Trinità).

Se invece ci avventuriamo a leggere un qualsiasi documento del Vaticano II e del Magistero ad esso successivo, anche senza soffermarci sul contenuto che esprime, non possiamo non rilevare una dissonanza, una novità lessicale, una imprecisione terminologica che non ha precedenti nel Magistero cattolico e viceversa sembra plagiare impunemente gli scritti dei Modernisti per imprecisione, equivocità, deliberato abbandono della chiarezza cattolica. Per non parlare dei testi liturgici riformati, in cui l’approssimazione sconfina nella colpevole vacuità, se solo si analizza un canto sacro contemporaneo. E se negli anni Settanta ci siamo visti propinare corali protestanti che avrebbero fatto inorridire un Cattolico tedesco, oggi l’abisso del nulla dottrinale si accompagna a musiche profane e a ritmi tribali. Insomma, la lingua del Concilio non è la lingua della Chiesa, così come la liturgia del Concilio non è più la lingua della liturgia tridentina. Giustamente vi sono liturgisti e teologi modernisti che ammettono, con l’impudenza che contraddistingue gli eretici, che la celebrazione della Messa tradizionale dovrebbe essere tollerata solo per i Cattolici anziani e viceversa proibita per i giovani, poiché essa «non corrisponde all’ecclesiologia del Vaticano II». Una confessione di colpa che viene ostinatamente negata dai sostenitori della ermeneutica della continuità, i quali pensano erroneamente che si possa conservare la dottrina cattolica esprimendola però con un linguaggio profano e – quel che è peggio – usando quel linguaggio anche nella liturgia. Ma così si cancella la distinzione sostanziale tra sacro e profano, nota persino ai pagani.

[Mi sia permesso formulare un particolare ringraziamento alla dottoressa Maike Hickson, che ha raccolto i miei interventi e curato questa edizione;] così come ringrazio quanti hanno offerto il proprio contributo alla discussione sul Vaticano II e sul messaggio di Fatima, permettendo al Lettore di maturare una valutazione consapevole di questo evento storico. Come questo libro dimostra, vi è una chiarissima connessione tra l’apostasia nella Chiesa annunciata da Nostra Signora e il suo concretizzarsi nel Concilio Vaticano II, nelle deviazioni dottrinali e morali che esso ha originato e sulla cui base è stata concepita la riforma liturgica montiniana. Sconcerta la disinvoltura con la quale i vertici della Gerarchia hanno potuto disobbedire alle richieste della Vergine, ad iniziare dalla mancata consacrazione della Russia al Cuore Immacolato; addolora ancor più, a mio parere, che dinanzi al concretizzarsi puntuale dei mali che sarebbero derivati da quella sciagurata disobbedienza, la Gerarchia si ostini ancor oggi a dissimularli e a negare all’Immacolata quel doveroso tributo che Ella attende per salvare la Chiesa e il mondo. Confortiamoci nelle parole della Vergine: «Alla fine, il mio Cuore Immacolato trionferà», e preghiamo perché questo sia finalmente il tempo in cui si compiano le richieste della Regina del Cielo.

“Se quanto alcuni riferiscono corrisponde a verità, ossia se è vero che la terza parte del Segreto di Fatima menziona esplicitamente un Concilio e una Messa non conformi alla volontà di Dio, non stupisce che i loro fautori abbiano voluto nasconderne il contenuto, poiché esso avrebbe vanificato il loro assalto contro la Chiesa di Cristo. Mi pare anzi che questo trovi ulteriore conferma nelle rivelazioni della Salette e in quelle di Bruno Cornacchiola, in cui quell’avvertimento è ripetuto da Colei che nella Sua umiltà schiaccerà il capo dell’antico Serpente. E sappiamo che nulla può modificare i decreti della Provvidenza”.

Questa raccolta di miei scritti sul Concilio tocca molti temi e consente di comprendere in modo organico e articolato quelle che considero essere le gravi criticità del Vaticano II e della riforma liturgica che esso ha imposto alla Chiesa. Con questa prefazione, tuttavia, desidero aggiungere qualche tessera al mosaico, richiamando l’attenzione del Lettore ad un aspetto talvolta trascurato. Sono infatti persuaso che per introdurre la rivoluzione nella Chiesa i Novatori abbiano dovuto ricorrere anche ad una modifica delle modalità di esposizione del Magistero, sostituendo la chiarezza adamantina del linguaggio cattolico con quei circiterismi che per primo denunziò Romano Amerio in Iota unum. Noi non abbiamo bisogno di «iniziare percorsi» né di essere «inclusivi», ma di convertirci, di vivere in grazia di Dio e di renderGli gloria, per poter meritare il premio eterno.

Cristo è il Verbo eterno del Padre, e nell’eternità del Dio Uno e Trino vi è una comunicazione sublime e semplicissima, in cui il Verbo è generato dal Padre e nella quale lo Spirito Santo procede da Entrambi. La Parola di Dio è creatrice, è vera, è chiara; la parola di Satana è distruttrice, menzognera ed equivoca perché ingannatrice. La restaurazione della Chiesa di Cristo e la sconfitta della setta che oggi la eclissa dovranno partire dalla comprensione di questo fenomeno linguistico e lessicale, tornando a parlare secondo il Vangelo in spirito e verità: Sia il vostro parlare sì sì, no no; quel che è in più, viene dal Maligno (Mt 5, 37).

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

19 Maggio 2021
S.cti Petri Celestini Papæ et Confessoris
Feria IV post Ascensionem

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